Cosa significa brand

Brand è una parola che avrai sentito spesso. Ma che cosa s’intende quando si parla di brand e processo di branding? Qui cercheremo di vederlo insieme.

Il “Brand” (in italiano “Marca”) è una dimensione intangibile, un concetto soggettivo.
Il Brand è una visione d’insieme che unisce gli aspetti comunicativi, la storia, l’identità, il posizionamento, l’originalità dei prodotti/servizi di un’azienda al modo in cui tutti questi elementi sono percepiti dai suoi clienti e dal pubblico in generale.

Al concetto di Brand appartengono l’idea di Logo, l’immagine coordinata, i colori dei suoi simboli e ciò che essi evocano. Ad esempio, Adidas è un brand che si fa ricordare per il suo pittogramma in bianco e nero che si riconosce anche senza l’aggiunta del logotipo. Anche senza l’aggiunta di uno dei suoi claim più ricorrenti nella sua terra d’origine, la Germania: “die marke mit den 3 streifen” ovvero “la marca con 3 strisce”.
Ma Adidas riesce a fare ancora di più stabilendo una connessione profonda con il suo target. Interpreta l’archetipo dell’eroe, quello che con tenacia e coraggio affronta le sfide impossibili, e subito dopo lo “umanizza”, per così dire, lo mette a fianco dell’uomo comune che esorta a fare anche lui grandi cose. Come? Adottando Adidas, i suoi prodotti, il suo stile, il tipo di vita che propone.

Non a caso su questi modelli la Casa tedesca impostò una strepitosa campagna globale rivolta ad un pubblico giovane e amante dello sport. Nel 2004 spese una cifra esorbitante, 50 milioni di dollari, e impegnò 22 atleti tra i quali David Beckham, Tracy McGrady e Cassius Clay (ribattezzatosi Muhammad Ali) tutti icone in diverse specialità, che, nonostante non fossero più giovanissimi, avevano accettato nuove sfide.
“Impossible is nothing”. L’ormai famosissimo claim Adidas lo riprese proprio da un discorso di Muhammad Ali, campione del ring nel 1964, 1974 e nel 1978, che aveva detto: “Impossibile è solo una parola grossa lanciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato piuttosto che esplorare il potere che hanno per cambiarlo. Impossibile non è un dato di fatto. È un’opinione. Impossibile non è una dichiarazione. È una sfida. Impossibile è potenziale. Impossibile è temporaneo. Niente è impossibile”.

La fisionomia del brand dunque, comprende tutti i valori percepiti sia dal suo pubblico di riferimento, che con esso s’identifica o almeno simpatizza, sia dagli addetti ai lavori che creano, plasmano e posizionano nel tempo il brand sul mercato.
Il brand non è nato con il capitalismo: ha una storia che viene da molto più lontano, esisteva secoli prima dell’avvento del marketing moderno. Di certo non si chiamava così ma la funzione era la stessa. Studi approfonditi fanno risalire la comparsa del marchio al 2250 a.C. nella valle dell’Indo, un’area oggi compresa fra il Pakistan e la Cina. Sin dal suo esordio la sua funzione principale era:

  1. trasportare informazioni relative all’origine ed alla qualità di un prodotto;
  2. veicolare un’immagine di potere.

Un interessante approfondimento si trova all’indirizzo The Birth of Brand: 4000 Years of Branding History attraverso la rete RePEc (Research Papers in Economics), gestito dalla Biblioteca universitaria di Monaco di Baviera.

Solo di recente il marchio si è evoluto, ha assunto una fisionomia molto più articolata ed ha generato il concetto di marca o brand. Non è più solo l’elemento visivo, ma è la stessa personalità dell’azienda, sempre più indipendente e definita, che opera per stabilire una connessione profonda con la mente del consumatore. In questo senso, diventa netta la separazione fra marchio – l’insieme degli elementi sensoriali che identificano la marca – e marca – l’insieme di percezioni e collegamenti sinaptici che portano il cliente ad identificarsi e prediligere una determinata azienda.

Brand” in inglese sta per l’italiano “Marca”. Secoli fa, “Marca” non aveva lo stesso significato di oggi perché si riferiva all’azione di “marchiare a fuoco”. Nel ‘500 si marchiava il bestiame per dichiararne la proprietà; si marchiavano gli schiavi che erano equiparati al bestiame nella mentalità comune; si marchiavano quelli che avevano commesso reati per esporli al pubblico ludibrio o, come era uso nell’antica Roma, si marchiavano gli schiavi che avevano cercato di fuggire. Da allora, la parola ha fatto molta strada, ha modificato il significato che aveva in origine e si è ricontestualizzata.

Ma cosa significa davvero Brand oggi? Complicato riassumere il concetto in una singola parola ma, sintetizzando al massimo, potremmo spiegarlo con “identità”. Identità che comprende la personalità di un’azienda insieme a tutto il suo patrimonio di valori, storia e reputazione attraverso i quali si relaziona con il mercato.

E fare branding invece?

Il processo di Branding consiste nel creare un’immagine unica del Brand nella mente dei consumatori. Il branding è quindi una strategia finalizzata alla creazione del valore del Brand, alla costruzione di un’immagine utile a stabilire un’identità propria e inconfondibile nella platea di riferimento.

Poiché le emozioni risiedono nel cervello e memorizziamo di più quando ci emozioniamo, fare branding vuol dire stimolare emozioni nell’utente. Le emozioni attivano l’amigdala che manda informazioni all’ippocampo – prima sede del cervello che immagazzina informazioni – che poi trasmette tutto alla corteccia cerebrale, che funge da archivio a lungo termine delle stesse informazioni. Affinché sia efficace, il messaggio deve essere semplice e lineare, e operare su tre fronti essenziali: distintività, coerenza e costanza. Il brand si occuperà di rendersi facilmente riconoscibile al proprio pubblico usando caratteri tipografici suoi propri, colori, suoni, odori, tono di voce, influencer, mascotte, partnership e non solo, così interagendo oltre la soglia razionale dell’utente.

Brand positioning: differenziarsi per emergere

Nella società iper-comunicativa di oggi, il cervello è costantemente assediato da migliaia di messaggi. Il suo problema è difendersi, cosa che fa egregiamente filtrando la maggior parte degli stimoli esterni e dando luce verde solo a quelle informazioni utili che si agganciano a concetti preesistenti.

In un panorama straripante di informazioni, farsi ricordare è diventato difficile. Il posizionamento si occupa di questo: focalizza il messaggio semplificato su un unico concetto, lo ripete, e mira a conquistare, e poi mantenere, la prima o la seconda posizione di categoria.

Se queste posizioni sono già occupate, meglio evitare lo scontro e concentrarsi su un segmento più ristretto, mostrandosi però originali e specializzati. Lo ha ripetuto come un mantra il padre del Brand positioning Al Ries: “less is more”.
Il tempo è orizzontale ma come lo viviamo è verticale.

Lo sapeva bene anche Hans Wilsdorf che nel 1908 registrò il marchio Rolex. Aveva ben compreso già allora che serviva un nome breve, facile da incidere nella mente e soprattutto pronunciabile un po’ a tutte le latitudini.

All’epoca gli orologi peccavano quanto a precisione.

Nel 1910, Rolex fu il primo orologio ad ottenere la certificazione di precisione cronometrica: cosa non di poco conto che permise all’orologio di ottenere il successo e il prestigio che detiene ancora oggi.
Nonostante il successo, Wilsdorf volle ampliare la propria offerta, operando su un segmento di mercato con minore capacità di spesa ma sempre mantenendo un alto standard. Sapeva che non poteva liquefare il posizionamento raggiunto da Rolex e che era necessario creare un nuovo marchio. Fu così che nel 1926 registrò il marchio Tudor. Ci vollero vent’anni affinché il marchio entrasse fattivamente in attività ed altri dieci per diventare popolare.

Oggi sono due marchi ancora in attività, floridi e dalle identità indipendenti.

È importante aggiornare la prospettiva dalla quale un’azienda guarda il proprio mercato. Ciò che è importante è la categoria. Un brand, per quanto importante possa essere, non sopravvive se la categoria arriva a fine vita.

Pensa a Kodak ed all’omonima pellicola fotografica. Kodak inventò la fotocamera digitale già nel 1975 ma nella memoria collettiva Kodak significava pellicola, non macchina digitale. Così, quando la pellicola è finita, è finita anche Kodak.

Oppure può accadere che un brand ceda il passo ad un altro brand nella medesima categoria, se non la presidia agli occhi e soprattutto nelle menti del proprio mercato. Per questo motivo è importante il brand positioning, che focalizza il messaggio e non lo liquefa su più fronti, favorendo la brand awareness.

Margaret Thatcher disse: “Stare al centro della strada è molto pericoloso perché rischi di essere buttato giù dalle automobili che vanno in entrambe le direzioni”.

Il posizionamento serve ad evitare di procedere a caso, rimanendo in mezzo alla strada, senza mai sapere quali sono i tuoi nemici e da dove possono arrivarti le loro bordate.