Brand loyalty:
definizione, significato ed esempi
La brand loyalty, o fidelizzazione al marchio, è la preferenza che il cliente dà nel tempo ad una certa marca a scapito di tutte le altre che operano nello stesso settore e si rivolgono allo stesso pubblico.
All’origine della fidelizzazione al brand c’è l’esperienza positiva di contatto (durante il customer journey) del consumatore non solo all’atto dell’acquisto ma anche in tutti i momenti in cui ha interagito con l’azienda. Esperienza talmente positiva da indurlo a non voler acquistare da un’azienda concorrente, nemmeno a fronte di un prezzo più basso o di un’offerta altrimenti più conveniente.
Il prodotto/servizio conta, certamente, ma è inquadrato nella relazione con l’azienda, prima durante e dopo l’acquisto: i tempi di consegna, la sollecitudine e la gentilezza nelle risposte, la velocità e la gratuità dei resi, il packaging entrano a pieno titolo nella valutazione complessiva del prodotto/servizio.
In uno studio pubblicato dall’American Marketing Association, l’accademico americano Richard L. Oliver definisce la fedeltà del consumatore (customer loyalty) come “l’impegno a ricomprare un determinato prodotto o servizio in futuro a prescindere dalle influenze del contesto e dagli sforzi di marketing che hanno il potenziale per portare a un cambio di comportamento”.
Come misurare la brand loyalty
David Aaker, economista statunitense, rappresenta gli stadi della brand loyalty con una piramide suddivisa in 5 livelli che corrispondono ai diversi gradi di affezione al marchio e tratteggiano altrettanti tipi di consumatori.
- alla base della piramide, al livello 5, ci sono gli switcher, quelli che rincorrono il prezzo e si fermano dove è più basso. Gli switchers sono battitori liberi: nessuna fedeltà a nessun marchio;
- appena sopra ci sono gli “habitual buyers”, i compratori abituali del marchio, compratori più per pigrizia che per convinzione, che non hanno particolari motivi né per cambiare né per restare;
- al livello 3 ci sono i “satisfied buyers with switching costs”, cioè i consumatori soddisfatti per il costo, ma anche perché, rimanendo, evitano perdite di tempo o il rischio di acquistare un prodotto/servizio qualitativamente inferiore… Ma se un brand concorrente li convincesse che i costi del cambiamento sarebbero ripagati da qualche beneficio in più, allora potrebbero lasciare e andare altrove;
- al penultimo gradino si trovano quelli a cui il brand piace. Gli amici del brand ne sono attratti, anche se non sempre saprebbero spiegare perché; semplicemente lo associano emotivamente a qualcosa di desiderabile;
- alla sommità della piramide ci sono i committed, i clienti coinvolti, quelli che hanno sviluppato un tale legame di fiducia con il brand da continuare a seguirlo e raccomandarlo anche ad altri.
A questo livello, le alternative non sono nemmeno prese in considerazione e il marchio, dal canto suo, può contare su una brand identity perfettamente sovrapponibile alla brand image, il che equivale ad aver raggiunto il miglior risultato possibile.
Qui ci sono gli innamorati del marchio, i brand ambassador, quelli che professano assoluta fedeltà al marchio.Il processo di fidelizzazione è concluso e gli utenti coinvolti sono la base solida dell’azienda, quelli che accetteranno anche prezzi maggiorati ma non cambieranno decisione di acquisto.
A cosa serve la loyalty?
A più di uno scopo, perché i clienti fidelizzati:
- sono più inclini a riacquistare;
- non prestano attenzione alla concorrenza;
- garantiscono al marchio una base solida e quindi continuità di profitti nel medio-lungo periodo;
- permettono all’azienda di mantenere prezzi grosso modo costanti senza che debba abbassarli per non perdere in competitività;
- costano meno in termini di promozione di quanto costi acquisire nuovi clienti;
- sono disposti a pagare prezzi premium;
- sostengono il brand quando i prezzi aumentano o sono altamente volatili;
- sono i promotori del brand, oltre tutto in forma gratuita;
- consentono all’azienda di ridurre i costi di marketing;
- data la loro presenza pressoché costante, incentivano i rivenditori ad essere sempre ben forniti;
- incoraggiano il brand a tentare politiche di brand extension.
Come aumentare la brand loyalty?
Non c’è una sola strategia perché ogni azienda dovrà prima considerare qual è il suo punto di partenza e dove può realisticamente arrivare. Ma sempre bisognerà tenere conto di diversi fattori:
- restare fedeli ai valori aziendali che, attuati con coerenza, hanno il potere di attrarre quella fetta di utenti che ci si riconoscono. Ma guai a tradire la loro fiducia: se il consumatore si accorge di essere stato ingannato, ci metterà poco a cambiare orientamento e decisioni di acquisto;
- coinvolgere i clienti attraverso i social, ascoltare le loro opinioni accettando le critiche, tenere presenti i commenti. Più si sentono considerati, più i clienti rafforzano il loro legame di fiducia con il brand;
- offrire un’esperienza positiva del brand attraverso dettagli che impressionino favorevolmente il cliente. Possono essere i servizi offerti oppure una confezione particolare: la Tiffany Blue Box, dopo oltre un secolo, continua a fare scuola;
- non trattare i clienti tutti allo stesso modo. Non si può usare la stessa strategia, né lo stesso linguaggio, se ci si rivolge ad un pubblico giovane o ad un pubblico adulto: un trentenne ha richieste diverse da quelle di un sessantenne;
- dare prestigio al marchio affiancando alle strategie di marketing valori sentiti dalla comunità, come la sostenibilità ambientale o la sicurezza…Chi ci si riconosce, stabilisce con il marchio un legame profondo di amicizia e fedeltà;
- impostare programmi di fedeltà. I loyalty program spingono a tornare nello stesso sito/negozio per riacquistare un certo prodotto/servizio.
Dalle raccolte punti degli anni ’20 alle loyalty card di cartoncino, di pvc o virtuali, ne è passato di tempo e le tecniche si sono affinate. Lo scopo però è sempre lo stesso e negli ultimi anni si cerca di raggiungerlo proponendo esperienze di gioco.
Oggi il gioco è entrato in contesti non ludici come la politica, l’educazione, l’ambiente, la salute, la ricerca scientifica, la scuola e, appunto, il marketing. La ludicizzazione o gamification ha applicazione ogni volta che l’obiettivo è comunicare, convincere, far capire e indurre comportamenti attivi da parte dei destinatari del messaggio. E il marketing ne sta facendo un uso sapiente.
Esempio
Apple: uno straordinario esempio di loyalty marketing
È un caso di successo come pochissimi altri. Apple è stata capace di costruire relazioni durevoli e di qualità con i clienti, relazioni proficue in termini di fatturato e di valore. Al punto che, quando viene lanciata una nuova versione dell’iPhone, i tanti fedelissimi in migliaia di città in tutto il mondo, per anni si sono costretti a code chilometriche pur di tornarsene a casa con l’ultimo nato Apple.
Secondo il rapporto Kantar BrandZ, Apple si conferma nel 2023 il marchio globale di maggior valore (880 miliardi di dollari Usa), seguito da Google (578 miliardi di dollari) e terzo Microsoft (502 miliardi di dollari). La classifica è il risultato di un’indagine sulle opinioni di oltre 4 milioni di persone intervistate su 21.000 marchi che operano in 540 diverse categorie.
Secondo una ricerca di Morgan Stanley, Apple può contare su una percentuale di clienti conservati nel tempo vicina al 70%, una loyalty superiore a quella che possono vantare Samsung, LG e Huawei, i suoi diretti concorrenti.
Il merito di Apple è di aver saputo creare con i clienti un rapporto che nasce dal prodotto e poi lo travalica: la facilità di uso, il design, le funzionalità, la multimedialità, la tutela della sicurezza creano nel consumatore l’idea che i prodotti Apple – l’IPhone, l’iPad o l’iPod – siano unici ed insostituibili oltre che inappuntabili per la qualità e per i servizi complementari, al punto che è ben felice di pagare prezzi più alti di quelli di mercato pur di assicurarsi un telefonino che è anche uno status symbol.