La brand reputation è la sintesi di una serie di percezioni e valutazioni che consumatori e stakeholders esprimono di un brand. Questi aspetti concorrono alla costituzione del patrimonio immateriale del brand, impattando economicamente sul suo successo. Una vera e propria valuta sociale radicata nel rapporto di fiducia che la marca riesce ad instaurare col proprio mercato di riferimento.

Brand reputation definizione

La parola “reputazione” deriva dal latino “reputatio” che significa “considerazione, stima, giudizio”; per il Devoto Oli “…è la considerazione, positiva o negativa, in cui si è tenuti dagli altri riguardo alla qualità o alla moralità”; la Treccani allarga il ventaglio dei significati con i sinonimi buon nome, credito, rinomanza, onore e prestigio.

Sicuramente la reputazione è antica quanto l’uomo e le sue prime comunità. Nel lunghissimo periodo in cui la nostra specie visse di caccia e di raccolta, l’abile cacciatore e il raccoglitore esperto nel riconoscere erbe e radici commestibili, dovevano godere di grande autorevolezza riconosciutagli dal gruppo, perché dalla loro bravura dipendeva la sopravvivenza di tutti gli altri.

Appunto, gli altri. Parlare di “altri” ci rimanda agli studi di Psicologia Sociale di Robert Cialdini, professore all’Arizona State University, autore di uno dei long seller più letti a livello mondiale, “Le armi della persuasione” in cui, tra l’altro, spiega così il principio del consenso, altrimenti detto della riprova sociale:

“…un’azione è corretta nella misura in cui la vediamo attuare dagli altri”.

Foto di Robert B. Cialdini con una sua citazione sulla riprova sociale.

E aggiunge, citando Cavett Robert, esperto in Tecniche di vendita e di motivazione: “… poiché il 95% delle persone sono imitatori e solo il 5% sono promotori, si lasciano persuadere più dalle azioni degli altri che da qualsiasi prova che si possa sottoporre loro”.

Il fatto che molte persone scelgano una certa cosa, per la reputazione della marca è una gran risorsa di cui servirsi per spingere altri a fare la stessa scelta.

È inutile sottolineare quanto siano preziose le testimonianze di utenti che dichiarano di essersi trovati bene con quel certo prodotto o servizio. Se poi la considerazione viene da un esperto o da un personaggio famoso, cioè da una fonte a cui si attribuisce autorevolezza, la risposta del pubblico sarà ancora più massiccia e convinta.
Il primo ad intuire la capacità contagiosa della brand reputation fu John Watson, psicologo comportamentista, che, ai primi del ‘900, dovendo organizzare la campagna pubblicitaria per i centri commerciali Macy’s, propose di coinvolgere negli spot la regina di Spagna!

Che cos’è la brand reputation online o web reputation?

La reputazione digitale o fama è la considerazione di cui gli altri ci fanno credito parlando o scrivendo di noi. Ci valutano per come ci comportiamo, per quello che facciamo e come lo facciamo, per quello che diciamo. Spesso il giudizio riguarda quello che sembriamo, ma il tempo è galantuomo e, prima o poi, la maschera va giù. Vale per tutti, per gli individui, per le aziende e anche per le nazioni: un Paese che fosse considerato insicuro, perderebbe prestigio internazionale con ripercussioni economiche, ad esempio smettendo di essere attrattivo per il turismo. Però potrebbe diventare molto interessante per chi opera muovendosi nel torbido: la reputazione non è una sola e cambia a seconda della prospettiva di chi giudica e del momento in cui lo fa.
Ma torniamo alle aziende. Mentire espone a brutte cadute, quelle che tecnicamente si chiamano crisi reputazionali.

La brand reputation online o web reputation non si conquista una volta per tutte e fa i conti con le due variabili del tempo e del contesto.

  • In relazione al tempo, perché la brand reputation è fluida e cambia in conseguenza di ciò che fa il soggetto con le sue scelte strategiche e di ciò che gli succede intorno indipendentemente dalla sua volontà come i comportamenti dei clienti, dei concorrenti e degli stakeholders;
  • in relazione al contesto, perché la brand reputation in un certo contesto può essere apprezzata ed in un altro con prospettive differenti, no.

Nelle relazioni umane è sempre successa la stessa cosa.

Luca Poma, professore di Reputation Management all’Università Lumsa di Roma, ritiene che la reputazione sia non solo l’opinione degli altri su un’azienda e su quello che fa, ma anche, e soprattutto, la coerenza con cui lo fa. Coerenza significa fedeltà al sogno, al progetto che aveva in mente il fondatore dell’impresa, una buona corporate reputation si regge sul mantenimento delle promesse, sulla fedeltà appunto alla vocazione originaria.

Quindi, prima dell’immagine, che è come gli altri percepiscono un’azienda (la brand image), conta l’identità (ovvero la brand identity).

Nel suo libro, “Il reputation management spiegato semplice”, Poma scrive della necessità di privilegiare “…non già l’immagine, la pubblicità o il marketing fini a sé stessi, bensì l’azione, il fare e il raccontare bene ciò che si è fatto, partendo sempre dalla consapevolezza profonda e sentita della propria più autentica identità”.
Vale a dire: meglio raccontare meno ma dire la verità. Tanto poi sul web viene fuori tutto, le fonti di informazione sono tante e scoprire la menzogna non è poi così difficile. L’utente stesso può farlo e, quando capisce di essere stato tradito, la delusione è così cocente da fargli “resettare” senza rimorso cuore e cervello.

In questo frangente rientra un aspetto molto importante della brand reputation: il reputation management. Un’azienda ben strutturata ha bisogno di elaborare un piano di reputation management ovvero un insieme di strategie di marketing mirate ad incrementare il valore percepito della marca da parte del consumatore, aumentandone in questo modo la reputazione online e di conseguenza i possibili lead. Un piano che, all’occorrenza, deve essere anche in grado di fronteggiare possibili crisi reputazionali, ovvero crisis management.

Oggi, con la diffusione dei mezzi digitali, la valutazione positiva o negativa su un’azienda arriva in tempo reale in qualunque parte del mondo: è la brand reputation online o web reputation.

Perché la reputazione del brand è importante

La brand reputation non si fa da sola: ha bisogno di un lavoro costante di digital marketing e di comunicazione sui canali digitali; va tenuta d’occhio per capire subito se si sta verificando un declino e correggere ciò che non va, almeno nei limiti del possibile. Oltre questo, che è territorio controllabile, ci sono i giudizi del pubblico e gli algoritmi di Google che sono chiaramente ingovernabili.

Rappresentazione del network sopra una città fluttuante, simbolo di connessione ed influenza sulla brand reputation.

Per l’azienda è vitale conoscere l’opinione del proprio pubblico su un bene che produce o su un servizio che offre: su queste indicazioni potrà decidere che strategia di mercato adottare e quali timbri attivare per convincere sempre più utenti del valore di ciò che vende.
Qualunque azienda deve fare i conti con la diffusione di internet e con il sentire degli utenti. Oggi sono gli utenti che prendono informazioni dalla rete prima di decidere un acquisto e da chi farlo. Accendono il computer e consultano siti web, social media, recensioni su Google e in generale online, blog e forum. Così facendo implicitamente danno a queste fonti una patente di credibilità tale da condizionare i loro comportamenti.

Di conseguenza, una buona brand reputation online ha un impatto determinante sul pubblico poiché:

  • costruisce la fiducia dei clienti e promuove le vendite;
  • attrae nuovi clienti generando nuove opportunità di business;
  • aiuta a distinguersi dalla concorrenza creando in questo modo un vantaggio competitivo;
  • favorisce l’incremento della visibilità on line generando più traffico, e quindi più business;
  • protegge il business da possibili crisi o danni alla reputazione;
  • contribuisce a gestire meglio le crisi quando si verificano.

Sia pure indirettamente, una buona digital reputation ha effetto sui risultati di ricerca di Google che andrà a premiare con un buon posizionamento i siti web facilmente navigabili, che hanno una buona reputazione online, contenuti originali e pertinenti, parole-chiave coerenti e link esterni di qualità.
Fino a metà dicembre del 2022 Google misurava l’utilità delle pagine secondo l’acronimo E-A-T; dal 15 dicembre ha introdotto un aggiornamento delle linee guida per i suoi valutatori di qualità che consiste nell’aggiunta di un altro parametro di giudizio, in sintesi un’altra E che sta per Experience.

Quindi la nuova sigla è E-E-A-T:

  • Experience (Esperienza) cioè la personale esperienza professionale;
  • Expertise (Competenza) si riferisce alla competenza in un certo settore;
  • Authoritativeness (Autorevolezza) cioè l’autorevolezza del creatore del sito e dei contenuti documentata da curriculum e segnali esterni;
  • Trustworthiness (Affidabilità) che misura il grado di accuratezza e attendibilità della pagina; la veridicità di ciò che è scritto grazie alla citazione di fonti autorevoli; la sicurezza che si garantisce agli utenti nello scambio di informazioni attraverso il certificato SSL.
Rappresentazione di E.E.A.T di Google e come invita i quality raters a valutare i contenuti.

Tanta attenzione di Google si spiega con il suo obiettivo di fornire risposte di qualità alle domande degli utenti attraverso l’applicazione di criteri sempre più dettagliati su cui poi lavorano gli algoritmi e i quality rater. 16mila persone attive in tutto il mondo hanno il compito di giudicare se i risultati forniti da Google alla luce di queste linee guida rispettano i criteri segnalati e se gli utenti ricevono un servizio veramente efficace.

Come si può valutare la reputazione di un sito web?

Non solo qualità e marketing, che sono le fondamenta dell’edificio ma non l’edificio. La base è far bene il proprio lavoro con prodotti o servizi qualitativamente apprezzabili, ma non basta perché il prestigio di una marca non cresce da solo. In un mercato senza confini come è la rete, l’azienda o lo studio del professionista hanno bisogno di farsi conoscere, di far parlare bene di sé. Perché questo succeda, occorre sapere ciò che il pubblico pensa di un prodotto o di un servizio e agire applicando le strategie più efficaci per attrarre clienti: la reputazione sul web della marca ha bisogno della comunicazione o per meglio dire, come diciamo in Ingigni, interazione.

La prima cosa da fare è creare una solida e distintiva identità. Bisogna avere un sito, aprire un blog e pubblicare con una certa costanza articoli che riguardino il nostro settore di attività.
Bisogna rimanere aggiornati frequentando le comunità che trattano i temi di nostro interesse.
È utilissimo attivare le Digital PR che sono la forma evoluta delle pubbliche relazioni. Le PR tradizionali miravano ad avere uno spazio nei giornali, alla radio o in televisione; le Digital PR aggiungono la collaborazione con blogger e influencer e l’uso dei social media.

Gli scopi sono molteplici: dare visibilità al brand, costruire la fiducia nel brand attraverso le recensioni online, creare la consapevolezza del marchio (brand awareness) nella platea di riferimento, migliorando la brand reputation dell’azienda. Ottenere backlink di qualità e citazioni sui social media sono tutte cose che contribuiscono a qualificare il posizionamento del brand.

Grafico a torta di colore arancione rappresentante il 72% su sfondo blu scuro.

Le recensioni in particolare sono tanto importanti quanto pericolose per la brand reputation. Secondo un sondaggio di TrustPilot, il 72% degli italiani si informa dalle recensioni online prima di fare un acquisto. Le recensioni sono dunque la versione moderna di quanto si faceva in un recente passato, e in parte si fa ancora oggi, quando si chiedeva ad un amico che aveva già acquistato quel particolare bene come ci si era trovato, se era soddisfatto e se avrebbe rifatto la stessa scelta.
Il consumatore può fare la differenza nel determinare il successo di un brand anche solo condividendo la propria esperienza sul web.
Le cattive recensioni sono le più lette ed hanno un peso psicologico maggiore di quelle positive: suonano come un campanello di allarme e possono compromettere la reputazione.
La presenza sui social Linkedin, Facebook e Instagram è un ottimo mezzo che il brand ha per confermare la propria presenza sul mercato di riferimento, consolidare la reputazione e costruire relazioni di fiducia con altre aziende.

Quanto la brand reputation online sia buona, oltre che percepire, si può anche misurare con il reputation score, un punteggio che deriva dall’esame di tutte le interazioni e le apparizioni online del brand, valutate in termini sia quantitativi che qualitativi. Un buon reputation equity indica che l’azienda è percepita come affidabile e coerente dalla platea, che ha un buon posizionamento e che è ben collocata nella SERP di Google.
Va da sé che più il punteggio si abbassa, maggiori sono le criticità su cui intervenire, e che più tempestivamente si interviene, meno dolorose saranno le conseguenze.

In questa prospettiva, è evidente quanto è importante controllare ciò che clienti e stakeholder scrivono sull’onorabilità della marca e saperlo in tempo reale. Google Alert è un valido strumento di monitoring per le parole chiave relative ad un certo settore o ad un marchio particolare.
Da tenere presenti anche Mention, Hootsuite, Tweetdeck e piattaforme come Semrush e Seozoom che permettono di rilevare ciò che su più canali scrivono gli utenti. La rete, con il suo potere pervasivo anche in settori che un tempo le erano estranei, ha stravolto il modello secondo cui il messaggio andava da un’emittente, l’azienda, al ricevente che è il pubblico. Oggi il messaggio è bidirezionale e continuo, soprattutto da parte del pubblico, per cui l’azienda deve tenere sotto controllo il messaggio che le arriva, comprenderlo e adeguare ad esso la propria comunicazione online e offline.
Va comunque detto che esiste il diritto di essere dimenticati, il diritto all’oblio. A Google si può chiedere che le informazioni su di sé vengano rimosse se sono superate, irrilevanti, non più necessarie o dannose per la propria reputazione online.

In Ingigni conosciamo l’importanza della brand reputation online e l’impatto che ha sul tuo business. Il nostro impegno è di creare una rete di segnali digitali forti a sostegno del tuo sito e monitorare costantemente il sentiment del pubblico. Lo scopo è quello di sapere se il modo in cui la tua azienda vuol farsi percepire dal proprio target, corrisponde a come poi il pubblico riceve e rielabora il messaggio.

Crisis manegement e reputation branding

Le crisi reputazionali sono sempre possibili e se ci si comporta come se non dovesse mai accadere un qualcosa che comprometta l’immagine del brand, quando poi il qualcosa accade, il clima è da nave che affonda. Confusione, panico, fretta. Se si cerca di insabbiare ciò che l’ha provocata – uno scandalo, una strategia sbagliata, una crisi economica… – negando tutto alla stampa, si fa peggio, perché i giornalisti andranno a cercare altrove le informazioni e probabilmente ne avranno anche di più disastrose dalla concorrenza.

Sono diversi gli inciampi che possono far scivolare verso il basso la brand reputation di un’azienda: poca trasparenza nei processi; vizi e richiamo dei prodotti; sostenibilità del processo di produzione; strategie sbagliate; violazione dei dati personali di cui banche e assicurazioni, ma non solo, sono in possesso…
Questi e altri possibili incidenti di percorso non sfuggiranno alla pubblica attenzione che in un modo o nell’altro reagirà.

Ecco perché, per non incorrere nella riduzione o addirittura nell’azzeramento della reputation equity, bisogna monitorare costantemente i comportamenti, sapere quello che succede, accertarsi che le informazioni siano corrette, non mentire ai clienti e a tutti coloro che, a vario titolo, condividono gli interessi nell’azienda.

La comunicazione social ha reso tutti più visibili ma anche più esposti a subire danni da cattiva reputazione. La diffusione di questi media ha comportato la perdita del controllo dei contenuti della comunicazione: il web diventa lo spazio virtuale della brand reputation online, ma anche quello dove si denunciano errori e contraddizioni.

Quindi, il monito è prepararsi a quando succederà e scrivere in cima alla lista che saremo sinceri e tempestivi nel dare spiegazioni.
Sincero e tempestivo come qualche anno fa non è stato Facebook che, oltre a subire una fortissima crisi, ha anche perso una montagna di soldi.

Dito che si appresta a rimuovere l’app di Facebook dal proprio smartphone.

Nel 2018 scoppia lo scandalo Facebook – Cambridge Analitica. Facebook non aveva protetto i dati di milioni di utenti, dati di cui era entrata in possesso Cambridge Analitica che li aveva poi usati per fare propaganda politica. Le avvisaglie della raccolta illecita di dati c’erano già state nel dicembre del 2015 quando Il Guardian aveva scritto di Cambridge Analitica.
Facebook rifiuta di dare spiegazioni e le pubblicazioni continuano nei due anni successivi fino a quando, a marzo 2018, scoppia lo scandalo. Zuckerberg tace ancora per qualche giorno, sottovalutando evidentemente la portata della crisi che gli si sta addensando addosso. Tace fino a quando i grandi fondi di investimento non lo mettono spalle al muro facendogli perdere miliardi di capitalizzazione. In più, la storia prende una piega tale da costringerlo a testimoniare davanti al Congresso degli Stati Uniti.

Facebook è un gigante ed è stato travolto da una bufera che ha messo in crisi la reputazione della marca. Ma trovarsi in mare aperto può capitare a tutti, anche a medie e piccole aziende. L’importante è non andare alla deriva e quindi come prima cosa, per tutelare la propria brand reputation è opportuno:

  • essere consapevoli dei propri punti di debolezza;
  • valutare la pericolosità di certi post: i più rischiosi sono quelli che attaccano frontalmente i dirigenti dell’azienda;
  • se il management viene accusato di qualcosa, intervenire subito nella gestione della crisi, anche coinvolgendo il diretto interessato;
  • rispondere con garbo ed equilibrio, evitando di replicare soltanto quando, facendolo, si andrebbe a gettare benzina sul fuoco;
  • non cancellare i post, nemmeno quelli negativi ma cercare di neutralizzarne gli effetti con altre recensioni di tono positivo.

Soprattutto, come già dicevamo, prepararsi quando il mare è tranquillo e il sole splende all’orizzonte!

Una brand reputation positiva può aiutarti a differenziare la tua attività dai tuoi concorrenti, migliorare la fedeltà (brand loyalty) dei clienti, attirarne di nuovi e costruire credibilità attorno al tuo brand, valorizzando significativamente i tuoi investimenti nel medio-lungo periodo. Inizia da subito a monitorare come la tua marca viene percepita ed intervieni laddove notassi delle incongruenze e se hai dei dubbi, chiedi pure…